lunedì, marzo 31, 2008

OMAGGIO ALLA POLKA DEL BARRIL...

Grazie tomez...


Tibet Libero



Se gli Stati Uniti avessero invaso il Messico??

Se la Francia avesse occupato l'Algeria???

Se l'Australia avesse dichiarato guerra alla Papua Nuova Guinea???

Se il Giappone avesse annesso la Manciuria??

Se l'Italia tornasse di nuovo in Libia con le cannoniere????

Se tutto questo fosse successo nell'anno delle Olimpiadi negli Stati Uniti, in Francia, in Australia, in Giappone, in Italia????


Le Olimpiadi si sarebbero tenute lo stesso in questi Paesi???

In nome di cosa? Del WTO? Della globalizzazione? Del consumismo?

Il Governo italiano ha calato i pantaloni alla marinara di D'Alema (nessuno pensava che avrebbe fatto diversamente......).

L'umanità ha un debito enorme nei confronti del Tibet, della sua cultura, dei suoi abitanti.

Lo ha lasciato solo per quasi sessant'anni in nome della realpolitik.

Un comportamento semplice da capire.

Se sei grosso puoi invadere, distruggere, sterminare.

Se sei piccolo e hai il petrolio, allora sono cazzi tuoi.

Cecenia docet.

Iraq ridocet.

L’Italia non deve partecipare alle Olimpiadi di Pechino. I Giochi Olimpici sono bagnati del sangue dei tibetani.

A Lhasa sono morte almeno 100 persone, alcune bruciate vive.

Protestavano nell’anniversario della sanguinosa repressione cinese del 1959.

Il buddismo non è una religione di conquista, non ha causato stragi secolari come le religioni monoteiste.

Il governo cinese minaccia nuove stragi.

Li minaccia a casa loro, in una nazione occupata.

Minaccia un popolo costretto in gran parte all’esilio. Di cui ha distrutto i monasteri. Di cui vorrebbe cancellare l’identità con una immigrazione selvaggia.

I tibetani sono uno dei popoli più pacifici della terra. Da decine di anni è in atto nei loro confronti un piccolo olocausto dagli occhi a mandorla, ma l’Occidente volta sempre la testa dall’altra parte. Pecunia non olet.

Né Valium, né lo psiconano hanno voluto ricevere il Dalai Lama in visita in Italia lo scorso autunno. E’ stato trattato come un paria, prima gli affari, poi i diritti civili.

I nostri grandi statisti: la vergogna internazionale d’Italia.

Gli atleti italiani rinuncino alle Olimpiadi.

Facciano outing contro la dittatura, sarà la migliore azione della loro vita.

Figli e nipoti ne saranno fieri.

Molti taliani gliene daranno merito.

Le Olimpiadi di Pechino non si possono celebrare sui massacri di Lhasa.

Per ogni finale olimpica, per ogni premiazione ci sarà il ricordo di un tibetano assassinato e di una Nazione stuprata sotto gli occhi indifferenti del mondo.

No alle
Olimpiadi di sangue.


mercoledì, marzo 26, 2008

Pavironica Productions present:

In principio fu:




Il Colloquio





Poi fù la volta de :

Il Delitto





E come tutte le saghe che si rispettano.....dopo tanta attesa......eccovi il 3° ed ultimo episodio della Pavironica Productions con Tomez Superstar:

L'Incubo




venerdì, marzo 21, 2008

Cult

Ma dove vado se parto,sempre ammesso che parto?

Ciao!

"A Genova ho incontrato un signore che con un giro di parole mi ha fatto capire che a Genova c'è il mare"

La Tv Delle Libertà







Volti Nuovi

Qui Lhasa


Le sirene urlano. Il pavimento del piccolo ristorante inizia a tremare. I clienti sentono il ronzio delle motociclette e il tremendo rumore di catene. Saltano su dalle panchine di legno, si precipitano alla finestra, scostano le tradizionali tendine tibetane coi simboli della buona sorte attaccate alle porte. I clienti sono giovani e vecchi, alcuni indossano i locali ornamenti colorati per i capelli. I loro volti sono in parte oblunghi e marrone scuro, in parte rotondi e chiari come quelli dei cinesi. Su tutti regna però in questo momento lo stesso spavento. Soprattutto nelle donne si nota una profonda paura - come se dovessero arrivare ora i cinesi per sottrarre i loro bambini. Fuori prendono posizione i mezzi blindati della polizia militare cinese - pesanti cingolati grigio-marroni. Su ognuno dei loro posti di vedetta ci sono sei poliziotti militari con dei fucili premuti contro le loro spalle. Le baionette argentate scintillano al sole di mezzogiorno. Con lo sguardo fisso osservano i numerosi passanti in basso. Sono tibetani e cinesi, mischiati in egual misura. I clienti tibetani del locale prima ricambiano gli sguardi provenienti dai cingolati, poi li discostano, schiumanti di rabbia. Alcuni inveiscono, mentre tornano ai loro tavoli di legno dipinti a fiori.Sono gli spettatori impauriti, il pubblico terrorizzato di questi giorni drammatici a Lhasa. Gli attori appaiono diversi. Nel locale se ne stanno seduti anche due giovani. Uno ha i capelli lunghi e una giacca di pelle abbottonata. L’altro ha un cappello di lana calcato sul viso. Sembrano quasi dei giovani occidentali. Sono gli unici che non balzano in piedi. Immobili, restano fermi sulle panche, non allontanano lo sguardo dalle scodelle di zuppa e dalle tazze di tè. Sono le persone come loro il motivo per cui il mondo guarda adesso verso il Tibet. Né il Dalai Lama né il Partito comunista cinese li avevano messi in conto. Venerdì scorso hanno organizzato nella capitale tibetana Lhasa delle proteste violente e distruttive. Pochi giorni prima i monaci buddisti avevano iniziato le prime dimostrazioni. Ma questi giovani incolleriti incarnano un altro Tibet, un Tibet nuovo.Dopo le proteste di venerdì qui non è rimasto molto dei negozi cinesi. Il quartiere offre un’immagine di terribile distruzione. Avvolgibili metallici strappati, banconi demoliti, frigoriferi ammaccati, auto e biciclette bruciate - tutto a mucchio in mezzo alla strada, tra pietre e cocci. La montagna di rottami è ancora fumante. Puzza di gomma bruciata. Intere hall degli hotel sono carbonizzate, banche per metà scassinate, alcuni negozi di generi alimentari o di attrezzi completamente distrutti e svaligiati. Accanto passa una pattuglia di blindati, muovendosi a zigzag tra i resti della rivolta. I loro cingoli stritolano quel ciarpame. «Ci proteggono», dicono i cinesi ai lati della strada. «Non ci mettono paura», dicono i tibetani. Sono gli uni al fianco degli altri. Poche centinaia di metri più in là ai cittadini di Lhasa si presenta uno spettacolo militare di tutt’altra dimensione. Sulla North Linkuo Road, la strada da Potala al monastero di Sera, sfila la polizia militare in servizio effettivo. A un gruppo di blindati in testa alla colonna seguono all’incirca duecento pick-up militari verdi. Sopra, unità armate di mitragliatrici, 30 uomini per ogni mezzo, in tutto 6.000 persone, per la maggior parte giovanissimi. Indossano una divisa militare verde, un elmetto e una fascia rossa sulla parte superiore del braccio. In cima alla cabina di guida due fucili a tiro rapido sostenuti da alcuni supporti puntano verso la folla di curiosi sui marciapiedi. Nella colonna si trovano anche mezzi della Croce Rossa e camion blindati. E subito si pensa al giugno 1989.Zhang Lizhong dell’Ufficio per le questioni estere della regione autonoma del Tibet non ne vuol sapere di un paragone col massacro di Tienanmen. I tumulti di venerdì avrebbero provocato, secondo quanto appurato dalle indagini fino a lunedì, la morte di 13 civili - nessuno ucciso dalla polizia, ma da ustioni, sassate e pestaggi, «vittime della plebaglia», come dice Zhang. Le sue affermazioni non sono del tutto erronee. Gli enormi danni materiali testimoniano la notevole violenza dei dimostranti. Il governo tibetano in esilio in India parla di molte più vittime tra i manifestanti, di cento morti, a causa dell’intervento brutale delle forze di sicurezza cinesi. Anche ciò appare plausibile, a causa dello spiegamento di migliaia di poliziotti pesantemente armati. L’ong «Centro per i diritti umani e la democrazia» in India ha contato finora 55 morti. Molti a Lhasa sono convinti che si sia trattato di un massacro della polizia militare. «È terribile. Hanno ucciso così tanti dei nostri», grida una vecchia tibetana in abito blu e rosso scuro. La donna si trova in un vicolo vicino il tempio Jokhang, in cui monaci hanno ordito la rivolta. Scompare velocemente dietro l’angolo della prossima casa non appena si vede rivolta la parola.Chi dimostrerà la verità sulle dimensioni della repressione? In ogni caso non i media, né quelli statali censurati in Cina, né quelli liberi occidentali. Sabato scorso non c’era nessun ostacolo rilevante per i giornalisti occidentali per raggiungere Lhasa, tranne un burocratico permesso di viaggio, che di regola viene controllato solo alla reception degli hotel. Non c’erano dunque ostacoli per i reporter, finché, lunedì, la polizia cinese per gli stranieri li ha invitati gentilmente a tornare a Pechino. Ma per quanto riguarda il numero di vittime che il regime e i movimenti di protesta citano non è possibile per il momento ottenere delle prove.Due delle persone che hanno partecipato alle proteste siedono il giorno dopo le dimostrazioni in un locale vicino Al palazzo del Potala. Indossano scarpe da ginnastica e giacche a vento, chiedono pasta in brodo e birra. Sono di buon umore: ieri i tibetani hanno fatto vedere ai cinesi di cosa sono capaci, spiegano. Anche il Dalai Lama la vede così? «Nessuno ci aiuta. Nemmeno Dio», rispondono. Ovviamente sanno che il Dalai Lama vuole risolvere le cose pacificamente, dicono. Lo adorano, vorrebbero che tornasse: non possono certo andare loro da lui in India, affermano. Ciò suona abbastanza disinvolto e piuttosto distante dalla fede. I due rappresentano però la nuova gioventù a Lhasa: urbana, libera da preconcetti, orientata al benessere e senza paura. I tibetani del ristorante nella strada Oumi o i monaci Za e Dang portano il dito davanti la bocca non appena si parla del Dalai Lama. Non vogliono rompere la loro lealtà nei suoi confronti, anche se in Cina viene considerata un crimine. I giovani in giacca a vento parlano invece di lui in modo spensierato, sebbene a grande distanza. Chiariscono subito che la rivolta appartiene soltanto a loro. Raccontano i loro motivi, che non hanno avuto nessuna possibilità di una normale formazione scolastica, che trovano sempre lavori pesanti, mentre i cinesi nello stesso momento diventano ricchi a loro spese. Spiegano che i tibetani ottengono solo lavori pagati male e che i cinesi vengono pagati meglio per la stessa occupazione. Si lamentano che un paio di jeans adesso costa 70 invece di 30 yuan, come finora (7 invece di 3 euro). «I cinesi ci rubano il nostro lavoro e i nostri soldi». I monaci tibetani e questi giovani vivono in due mondi diversi. Gli uni non hanno ancora mai parlato con uno straniero, gli altri incontrano continuamente turisti occidentali. Oggi ci sono in Tibet due vite differenti, quella monastica e quella nei primi passi verso la globalizzazione. La rivolta si nutre di entrambe queste vite. Ma come fa a servire interessi così diversi? All’inizio sono i monaci che vanno avanti. Dimostrano anche in altre province cinesi. Hanno una strategia politica, approvata dal Dalai Lama, che punta ai Giochi olimpici e alle pressioni da parte dell’opinione pubblica internazionale. Se però l’enorme dispiegamento di forze di sicurezza a Lhasa significa qualcosa, questo qualcosa è che Pechino non cederà a simili pressioni. Sulla questione del Tibet il governo comunista sa che il 95% dei cinesi è al suo fianco.Tanto più drammatica è la situazione dei giovani a Lhasa. Hanno perso la testa per un giorno. Adesso devono pagare un conto salato per questo. Gli sgherri del governo sono già in giro. «Ieri sera e stamattina i poliziotti hanno portato con sé dei giovani in due camion», racconta lunedì la cameriera di un locale, in cui due giorni prima sedevano i due ribelli di buon umore. Forse siedono già in carcere, rischiano la tortura e pesanti pene. Malgrado tutta la simpatia occidentale e l’entusiasmo dei media per il Tibet: in caso di emergenza ciò aiuta poco le persone coinvolte. Può però portare facilmente i protagonisti a sopravvalutare le loro forze. Tutto il baccano sul Dalai Lama, la sua grossa stima politica nelle capitali occidentali non cambia nulla nel fatto che i tibetani hanno a che fare soprattutto con i cinesi. E ora di nuovo con i peggiori, i militari nei vertici di Pechino. I tibetani hanno bisogno di una strategia con la Cina, non di una strategia contro la Cina.

mercoledì, marzo 19, 2008

Cena Pasquale

CENA RIMANDATA

Ore 20.30
Confermata Cena Pasquale
presso

"LA MELNETTA"

Venghino numerosi.....

GRRRRRASSIE.......

P.S. Califfo brutta testa di Romagnolo che non sei altro cerca di venire.....e basta far la vecchia che tanto lo sappiamo che lo guardi il blog......

martedì, marzo 18, 2008

Siamo nell'anno del signore 2008 e in Tibet è ricominciato il GENOCIDIO di un popolo.... probabilmente il più pacifico e non violento del mondo....dopo lo sterminio e l'occupazione degli anni '50






i politicanti del mondo cosa fanno......?????
UN BENEMERITO CAZZO
Il "Santo Padre" cosa dice......
OGGI HA
FINALMENTE RILASCIATO IL SUO PARERE A RIGUARDO:







CHE VADANO A FARE IN CULO SIA LO STATO
CHE LA CHIESA!!!!!


lunedì, marzo 17, 2008

Scena Indimenticabile

E vattene, sei pura antipatica.... Felice?Mi prepari una club dematre con ghiaccio pilè....

NON LI FANNO + QUESTI CAPLAVORI....PECCATO

VOTO A DE SICA 10

HA HA HA HA HA HA Che film....

NON VOTATE AMARC'MAND....


Le liste elettorali sono come un uovo di Pasqua trasparente.
Non c’è nessuna sorpresa.
Dell’Utri, Cuffaro, Carra, Crisafulli sono già stati eletti, insieme a tutti gli altri.
Diventeranno nostri dipendenti a 25.000 euro al mese anche Fassino (per la quarta volta), sua moglie (per la quinta volta), D’Alema, gli avvocati e la segretaria dello psiconano.
La Camera e il Senato sono al completo.
Sold out.
Il Parlamento è la nuova casa chiusa degli italiani. La porcata elettorale Calderoli/psiconano del 2006 ha istituito le liste chiuse.
Le liste Merlin.
Ha tolto ai cittadini la possibilità di scegliere il proprio candidato. Deputati e senatori vengono raccolti dalle strade d’Italia dai segretari di partito. Figure politiche ormai tra i papponi e i magnaccia.
Il vostro voto non serve.
I giochi sono stati fatti.
Non ci credete?
Prima delle elezioni pubblicherò la composizione della Camera e del Senato, nome per nome, prescritto per prescritto, condannato per condannato.
Dopo le elezioni, controllate chi è stato eletto.
Se le mie previsioni risulteranno esatte, vuol dire che vi hanno preso per il culo.
C’è un’altra cosa che non mi va giù. Che sindaci e presidenti regionali si possano dimettere per candidarsi alle politiche.
I cittadini del loro Comune e della loro Regione li hanno votati per un mandato di cinque anni.
Li hanno assunti per fare un lavoro ben preciso.
Loro se ne fregano dei datori di lavoro.
Della loro città, della loro Regione.
Formigoni si dimette da Presidente della Lombardia per fare il ministro degli Esteri.
Topo Gigio Veltroni si dimette da sindaco di Roma per fare il segretario di partito.
Ma non vi sentite presi per il culo?
I soldi per le campagne elettorali regionali e comunali in Lombardia e a Roma, il tempo dei cittadini, nuove elezioni, nuovi assessori. Questi cambiano posizione ogni volta che ci guadagnano di più.
Sono puttane politiche.
NON VOTATE!!!
E'
L'UNICA SCELTA
CHE VI E' RIMASTA....
Non legittimate una legge elettorale incostituzionale.
Spiegate a chi crede di esercitare un suo diritto il 13 aprile che è vittima di un incantesimo.
Chi vota diventa complice, anche se non lo sa.
Beppe Grillo

Lettura Consigliata

"E' facile smettere di fumare se sai come farlo"

Libro altamente consigliato solo ed esclusivamente a chi HA DECISO di smettere di fumare.
Il libro non ha niente di "Miracoloso" nonostante abbia aiutato milioni di persone a "liberarsi" dall'ABITUDINE del fumo. Leggete solo alcune recensioni.....http://www.internetbookshop.it/code/9788890123306/carr-allen/facile-smettere-fumare.html
A me è servito come supporto psicologico alla scelta che ho fatto il 1° Ottobre 2007.
LEGGETELO.....Male che vada buttate 9 €.....
Io dopo averlo letto non ho smesso subito ed ho continuato, ma con una consapevolezza diversa... e io ho fumato x 14 anni COME DIO COMANDA.....
6 mesi senza fumo...una schiavitù in meno....

Il Lager di Bolzaneto

C'ERA anche un carabiniere "buono", quel giorno. Molti "prigionieri" lo ricordano. "Giovanissimo". Più o meno ventenne, forse "di leva". Altri l'hanno in mente con qualche anno in più. In tre giorni di "sospensione dei diritti umani", ci sono stati dunque al più due uomini compassionevoli a Bolzaneto, tra decine e decine di poliziotti, carabinieri, guardie di custodia, poliziotti carcerari, generali, ufficiali, vicequestori, medici e infermieri dell'amministrazione penitenziaria. Appena poteva, il carabiniere "buono" diceva ai "prigionieri" di abbassare le braccia, di levare la faccia dal muro, di sedersi. Distribuiva la bottiglia dell'acqua, se ne aveva una a disposizione. Il ristoro durava qualche minuto. Il primo ufficiale di passaggio sgridava con durezza il carabiniere tontolone e di buon cuore, e la tortura dei prigionieri riprendeva. Tortura. Non è una formula impropria o sovrattono.
Due anni di processo a Genova hanno documentato - contro i 45 imputati - che cosa è accaduto a Bolzaneto, nella caserma Nino Bixio del reparto mobile della polizia di Stato nei giorni del G8, tra venerdì 20 e domenica 22 luglio 2001, a 55 "fermati" e 252 arrestati. Uomini e donne. Vecchi e giovani. Ragazzi e ragazze. Un minorenne. Di ogni nazionalità e occupazione; spagnoli, greci, francesi, tedeschi, svizzeri, inglesi, neozelandesi, tre statunitensi, un lituano. Studenti soprattutto e disoccupati, impiegati, operai, ma anche professionisti di ogni genere (un avvocato, un giornalista...). I pubblici ministeri Patrizia Petruzziello e Vittorio Ranieri Miniati hanno detto, nella loro requisitoria, che "soltanto un criterio prudenziale" impedisce di parlare di tortura. Certo, "alla tortura si è andato molto vicini", ma l'accusa si è dovuta dichiarare impotente a tradurre in reato e pena le responsabilità che hanno documentato con la testimonianza delle 326 persone ascoltate in aula.
Il reato di tortura in Italia non c'è, non esiste. Il Parlamento non ha trovato mai il tempo - né avvertito il dovere in venti anni - di adeguare il nostro codice al diritto internazionale dei diritti umani, alla Convenzione dell'Onu contro la tortura, ratificata dal nostro Paese nel 1988. Esistono soltanto reatucci d'uso corrente da gettare in faccia agli imputati: l'abuso di ufficio, l'abuso di autorità contro arrestati o detenuti, la violenza privata. Pene dai sei mesi ai tre anni che ricadono nell'indulto (nessuna detenzione, quindi) e colpe che, tra dieci mesi (gennaio 2009), saranno prescritte (i tempi della prescrizione sono determinati con la pena prevista dal reato). Come una goccia sul vetro, penosamente, le violenze di Bolzaneto scivoleranno via con una sostanziale impunità e, quel che è peggio, possono non lasciare né un segno visibile nel discorso pubblico né, contro i colpevoli, alcun provvedimento delle amministrazioni coinvolte in quella vergogna. Il vuoto legislativo consentirà a tutti di dimenticare che la tortura non è cosa "degli altri", di quelli che pensiamo essere "peggio di noi". Quel "buco" ci permetterà di trascurare che la tortura ci può appartenere. Che - per tre giorni - ci è già appartenuta. Nella prima Magna Carta - 1225 - c'era scritto: "Nessun uomo libero sarà arrestato, imprigionato, spossessato della sua indipendenza, messo fuori legge, esiliato, molestato in qualsiasi modo e noi non metteremo mano su di lui se non in virtù di un giudizio dei suoi pari e secondo la legge del paese". Nella nostra Costituzione, 1947, all'articolo 13 si legge: "La libertà personale è inviolabile. È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizione di libertà" La caserma di Bolzaneto oggi non è più quella di ieri. Con un'accorta gestione, si sono voluti cancellare i "luoghi della vergogna", modificarne anche gli spazi, aprire le porte alla città, alle autorità cittadine, civili, militari, religiose coltivando l'idea di farne un "Centro della Memoria" a ricordo delle vittime dei soprusi. C'è un campo da gioco nel cortile dove, disposti su due file, i "carcerieri" accompagnavano l'arrivo dei detenuti con sputi, insulti, ceffoni, calci, filastrocche come "Chi è lo Stato? La polizia! Chi è il capo? Mussolini!", cori di "Benvenuti ad Auschwitz". Dov'era il famigerato "ufficio matricole" c'è ora una cappella inaugurata dal cardinale Tarcisio Bertone e nei corridoi, dove nel 2001 risuonavano grida come "Morte agli ebrei!", ha trovato posto una biblioteca intitolata a Giovanni Palatucci, ultimo questore di Fiume italiana, ucciso nel campo di concentramento di Dachau per aver salvato la vita a 5000 ebrei. Quel giorno, era venerdì 20 luglio, l'ambiente è diverso e il clima di piombo. Dopo il cancello e l'ampio cortile, i prigionieri sono sospinti verso il corpo di fabbrica che ospita la palestra. Ci sono tre o quattro scalini e un corridoio centrale lungo cinquanta metri. È qui il garage Olimpo. Sul corridoio si aprono tre stanze, una sulla sinistra, due sulla destra, un solo bagno. Si è identificati e fotografati. Si è costretti a firmare un prestampato che attesta di non aver voluto chiamare la famiglia, avvertire un avvocato. O il consolato, se stranieri (agli stranieri non si offre la traduzione del testo). A una donna, che protesta e non vuole firmare, è mostrata la foto dei figli. Le viene detto: "Allora, non li vuoi vedere tanto presto...". A un'altra che invoca i suoi diritti, le tagliano ciocche di capelli. Anche H. T. chiede l'avvocato. Minacciano di "tagliarle la gola". M. D. si ritrova di fronte un agente della sua città. Le parla in dialetto. Le chiede dove abita. Le dice: "Vengo a trovarti, sai". Poi, si è accompagnati in infermeria dove i medici devono accertare se i detenuti hanno o meno bisogno di cure ospedaliere. In un angolo si è, prima, perquisiti - gli oggetti strappati via a forza, gettati in terra - e denudati dopo. Nudi, si è costretti a fare delle flessioni "per accertare la presenza di oggetti nelle cavità". Nessuno sa ancora dire quanti sono stati i "prigionieri" di quei tre giorni e i numeri che si raccolgono - 55 "fermati", 252 "arrestati" - sono approssimativi. Meno imprecisi i "tempi di permanenza nella struttura". Dodici ore in media per chi ha avuto la "fortuna" di entrarvi il venerdì. Sabato la prigionia "media" - prima del trasferimento nelle carceri di Alessandria, Pavia, Vercelli, Voghera - è durata venti ore. Diventate trentatré la domenica quando nella notte tra 1.30 e le 3.00 arrivano quelli della Diaz, contrassegnati all'ingresso nel cortile con un segno di pennarello rosso (o verde) sulla guancia. È saltato fuori durante il processo che la polizia penitenziaria ha un gergo per definire le "posizioni vessatorie di stazionamento o di attesa". La "posizione del cigno" - in piedi, gambe divaricate, braccia alzate, faccia al muro - è inflitta nel cortile per ore, nel caldo di quei giorni, nell'attesa di poter entrare "alla matricola". Superati gli scalini dell'atrio, bisogna ancora attendere nelle celle e nella palestra con varianti della "posizione" peggiori, se possibile. In ginocchio contro il muro con i polsi ammanettati con laccetti dietro la schiena o nella "posizione della ballerina", in punta di piedi. Nelle celle, tutti sono picchiati. Manganellate ai fianchi. Schiaffi alla testa. La testa spinta contro il muro. Tutti sono insultati: alle donne gridato "entro stasera vi scoperemo tutte"; agli uomini, "sei un gay o un comunista?" Altri sono stati costretti a latrare come cani o ragliare come asini; a urlare: "viva il duce", "viva la polizia penitenziaria". C'è chi viene picchiato con stracci bagnati; chi sui genitali con un salame, mentre steso sulla schiena è costretto a tenere le gambe aperte e in alto: G. ne ricaverà un "trauma testicolare". C'è chi subisce lo spruzzo del gas urticante-asfissiante. Chi patisce lo spappolamento della milza. A. D. arriva nello stanzone con una frattura al piede. Non riesce a stare nella "posizione della ballerina". Lo picchiano con manganello. Gli fratturano le costole. Sviene. Quando ritorna in sé e si lamenta, lo minacciano "di rompergli anche l'altro piede". Poi, gli innaffiano il viso con gas urticante mentre gli gridano. "Comunista di merda". C'è chi ricorda un ragazzo poliomielitico che implora gli aguzzini di "non picchiarlo sulla gamba buona". I. M. T. lo arrestano alla Diaz. Gli viene messo in testa un berrettino con una falce e un pene al posto del martello. Ogni volta che prova a toglierselo, lo picchiano. B. B. è in piedi. Gli sbattono la testa contro la grata della finestra. Lo denudano. Gli ordinano di fare dieci flessioni e intanto, mentre lo picchiano ancora, un carabiniere gli grida: "Ti piace il manganello, vuoi provarne uno?". S. D. lo percuotono "con strizzate ai testicoli e colpi ai piedi". A. F. viene schiacciata contro un muro. Le gridano: "Troia, devi fare pompini a tutti", "Ora vi portiamo nei furgoni e vi stupriamo tutte". S. P. viene condotto in un'altra stanza, deserta. Lo costringono a denudarsi. Lo mettono in posizione fetale e, da questa posizione, lo obbligano a fare una trentina di salti mentre due agenti della polizia penitenziaria lo schiaffeggiano. J. H. viene picchiato e insultato con sgambetti e sputi nel corridoio. Alla perquisizione, è costretto a spogliarsi nudo e "a sollevare il pene mostrandolo agli agenti seduti alla scrivania". J. S., lo ustionano con un accendino. Ogni trasferimento ha la sua "posizione vessatoria di transito", con la testa schiacciata verso il basso, in alcuni casi con la pressione degli agenti sulla testa, o camminando curvi con le mani tese dietro la schiena. Il passaggio nel corridoio è un supplizio, una forca caudina. C'è un doppia fila di divise grigio-verdi e blu. Si viene percossi, minacciati. In infermeria non va meglio. È in infermeria che avvengono le doppie perquisizioni, una della polizia di Stato, l'altra della polizia penitenziaria. I detenuti sono spogliati. Le donne sono costrette a restare a lungo nude dinanzi a cinque, sei agenti della polizia penitenziaria. Dinanzi a loro, sghignazzanti, si svolgono tutte le operazioni. Umilianti. Ricorda il pubblico ministero: "I piercing venivano rimossi in maniera brutale. Una ragazza è stata costretta a rimuovere il suo piercing vaginale con le mestruazioni dinanzi a quattro, cinque persone". Durante la visita si sprecano le battute offensive, le risate, gli scherni. P. B., operaio di Brescia, lo minacciano di sodomizzazione. Durante la perquisizione gli trovano un preservativo. Gli dicono: "E che te ne fai, tanto i comunisti sono tutti froci". Poi un'agente donna gli si avvicina e gli dice: "È carino però, me lo farei". Le donne, in infermeria, sono costrette a restare nude per un tempo superiore al necessario e obbligate a girare su se stesse per tre o quattro volte. Il peggio avviene nell'unico bagno con cesso alla turca, trasformato in sala di tortura e terrore. La porta del cubicolo è aperta e i prigionieri devono sbrigare i bisogni dinanzi all'accompagnatore. Che sono spesso più d'uno e ne approfittano per "divertirsi" un po'. Umiliano i malcapitati, le malcapitate. Alcune donne hanno bisogno di assorbenti. Per tutta risposta viene lanciata della carta da giornale appallottolata. M., una donna avanti con gli anni, strappa una maglietta, "arrangiandosi così". A. K. ha una mascella rotta. L'accompagnano in bagno. Mentre è accovacciata, la spingono in terra. E. P. viene percossa nel breve tragitto nel corridoio, dalla cella al bagno, dopo che le hanno chiesto "se è incinta". Nel bagno, la insultano ("troia", "puttana"), le schiacciano la testa nel cesso, le dicono: "Che bel culo che hai", "Ti piace il manganello". Chi è nello stanzone osserva il ritorno di chi è stato in bagno. Tutti piangono, alcuni hanno ferite che prima non avevano. Molti rinunciano allora a chiedere di poter raggiungere il cesso. Se la fanno sotto, lì, nelle celle, nella palestra. Saranno però picchiati in infermeria perché "puzzano" dinanzi a medici che non muovono un'obiezione. Anche il medico che dirige le operazioni il venerdì è stato "strattonato e spinto". Il giorno dopo, per farsi riconoscere, arriva con il pantalone della mimetica, la maglietta della polizia penitenziaria, la pistola nella cintura, gli anfibi ai piedi, guanti di pelle nera con cui farà poi il suo lavoro liquidando i prigionieri visitati con "questo è pronto per la gabbia". Nel suo lavoro, come gli altri, non indosserà mai il camice bianco. È il medico che organizza una personale collezione di "trofei" con gli oggetti strappati ai "prigionieri": monili, anelli, orecchini, "indumenti particolari". È il medico che deve curare L. K. A L. K. hanno spruzzato sul viso del gas urticante. Vomita sangue. Sviene. Rinviene sul lettino con la maschera ad ossigeno. Stanno preparando un'iniezione. Chiede: "Che cos'è?". Il medico risponde: "Non ti fidi di me? E allora vai a morire in cella!". G. A. si stava facendo medicare al San Martino le ferite riportate in via Tolemaide quando lo trasferiscono a Bolzaneto. All'arrivo, lo picchiano contro un muretto. Gli agenti sono adrenalinici. Dicono che c'è un carabiniere morto. Un poliziotto gli prende allora la mano. Ne divarica le dita con due mani. Tira. Tira dai due lati. Gli spacca la mano in due "fino all'osso". G. A. sviene. Rinviene in infermeria. Un medico gli ricuce la mano senza anestesia. G. A. ha molto dolore. Chiede "qualcosa". Gli danno uno straccio da mordere. Il medico gli dice di non urlare. Per i pubblici ministeri, "i medici erano consapevoli di quanto stava accadendo, erano in grado di valutare la gravità dei fatti e hanno omesso di intervenire pur potendolo fare, hanno permesso che quel trattamento inumano e degradante continuasse in infermeria". Non c'è ancora un esito per questo processo (arriverà alla vigilia dell'estate). La sentenza definirà le responsabilità personali e le pene per chi sarà condannato. I fatti ricostruiti dal dibattimento, però, non sono più controversi. Sono accertati, documentati, provati. E raccontano che, per tre giorni, la nostra democrazia ha superato quella sempre sottile ma indistruttibile linea di confine che protegge la dignità della persona e i suoi diritti. È un'osservazione che già dovrebbe inquietare se non fosse che - ha ragione Marco Revelli a stupirsene - l'indifferenza dell'opinione pubblica, l'apatia del ceto politico, la noncuranza delle amministrazioni pubbliche che si sono macchiate di quei crimini appaiono, se possibile, ancora più minacciose delle torture di Bolzaneto. Possono davvero dimenticare - le istituzioni dello Stato, chi le governa, chi ne è governato - che per settantadue ore, in una caserma diventata lager, il corpo e la "dimensione dell'umano" di 307 uomini e donne sono stati sequestrati, umiliati, violentati? Possiamo davvero far finta di niente e tirare avanti senza un fiato, come se i nostri vizi non fossero ciclici e non si ripetessero sempre "con lo stesso cinismo, la medesima indifferenza per l'etica, con l'identica allergia alla coerenza"?

sabato, marzo 15, 2008

venerdì, marzo 14, 2008

Consiglio di lettura

" Mi ricordo quando stavo provando il Mezzo più elaborato di Modena in Viale Italia e mi hanno fermato gli sbirri.Incredibile.Mi fermo, la macchina assassina con i lampeggianti accesi, luce blu rotante, incubo del Mezzo. Poverino soffriva, ma in quel momento non potevo fare nulla per lui, se non accarezzargli delicatamente il serbatoio, per inciso quasi sempre vuoto. Scende un gufo viene lì da me con un ghigno da schiaffi e mi dice, pensando di essere lui il togo:“Abbiamo fatto fatica a superarti!”“Lo credo bene, facevo i centotrenta!” rispondo fiero e orgoglioso sapendo che sono più togo di lui. "
tratto da:

Fine Millennio
di
Angelo Malara
"È più facile essere saggi per gli altri che per se stessi"

(François De La Rochefoucauld)


"Certi non diventano mai pazzi... Quanto noiose possono essere le loro vite"


(Charles Bukowski)



"Ognuno ha la pretesa di soffrire molto più degli altri"
(Honoré de Balzac)
"La politica é come cercare di inculare un gatto"

(Charles Bukowski)

"Stavo parlando male di te, anche perchè io non parlo mai bene di nessuno"

(Angelo Malara)



TIBET LIBERO!!!!










Tibet, scontri e violenze.

Lhasa in fiamme



Fiamme nei mercati della città, accerchiati i 3 monasteri. Alcuni testimoni: abbiamo sentito colpi d'arma da fuoco




LHASA - Alta tensione in Tibet, dove è degenerata la protesta anticinese di centinaia di monaci buddhisti: Lhasa è in fiamme. Negozi e automobili delle forze dell'ordine sono stati bruciati, centinaia di persone si sono unite alla protesta dei monaci contro il governo cinese iniziata lunedì scorso. Secondo quanto riferiscono le agenzie di stampa internazionali, citando fonti sanitarie, ci sarebbero anche «diverse vittime». Alcune emittenti asiatiche e il network Usa Cnn parlano di due morti accertati. L'agenzia Nuova Cina aveva parlato di «feriti che sono ricoverati in ospedale» senza fornire altri dettagli. Intanto dal mondo occidentale si leva la protesta contro la repressione militare ordinata dal governo di Pechino. E anche il Dalai Lama ha chiesto di interrompere l'uso della violenza.

LE CARICHE DELLA POLIZIA - Testimoni raggiunti telefonicamente dalle agenzie di stampa affermano che la polizia militare è intervenuta in forze per disperdere i dimostranti e che si sono sentiti degli spari. «C'è fumo dappertutto e si sentono colpi d' arma da fuoco» ha detto un residente che parlava dalle vicinanze del Jokhang, un grande tempio nel centro della capitale. E di spari hanno parlato anche cittadini americani, come ha riferito l'ambasciata Usa a Pechino.

MONASTERI ACCERCHIATI - I tre principali monasteri buddhisti della città sono stati accerchiati da migliaia di soldati e i monaci di Sera, il secondo monastero della regione, hanno cominciato uno sciopero della fame. Due monaci di Drepung sono in condizioni critiche dopo aver tentato il suicidio tagliandosi le vene. Lo ha riferito Radio Free Asia, un’emittente finanziata dagli Stati Uniti. Ma dopo l’assedio dei monasteri le proteste sono esplose e hanno raggiunto un livello che non era mai stato registrato negli ultimi 20 anni in questa regione nel nord-ovest della Cina. Diversi gli scontri nel mercato della città, il Barkhor. Funzionari del Partito Comunista cinese e della polizia sostengono di non avere informazioni su quanto sta accadendo a Lhasa e si rifiutano di commentare le notizie riferite da Radio Free Asia (Rfa). Secondo questa emittente molti altri monaci, oltre ai due che si sono tagliati le vene, stanno compiendo gesti di autolesionismo per protestare contro l’accerchiamento delle forze dell’ordine attorno al monastero e contro l’arresto di alcuni monaci.
IN PROTESTA DA LUNEDI' - Le proteste sono iniziate in due monasteri di Lhasa lunedì, anniversario della rivolta non-violenta del 1959 contro l’occupazione cinese, e giovedì hanno raggiunto anche quello di Ganden, secondo Rfa e l’associazione britannica Campagna internazionale per il Tibet (Ict).

RICHIAMO DELLA CASA BIANCA - La Casa Bianca si è detta «rammaricata» per le violenze e ha richiamato la Cina al rispetto della cultura tibetana. Il Dalai Lama ha chiesto alla Cina di rinunciare all'uso della forza, in una dichiarazione fatta a Dharamsala, in India. Nella stessa dichiarazione il Dalai Lama ha detto di essere «profondamente preoccupato» per la situazione in Tibet.

ITALIANI AL SICURO - I turisti, gli studenti e i cooperanti italiani che si trovano a Lhasa sono tutti incolumi e si trovano attualmente nei loro alberghi o nella residenza per gli studenti stranieri dell' Università di Lhasa. Lo afferma l' Ambasciata d' Italia in Cina, che è in contatto con i connazionali e segue la situazione costantemente, in coordinamento con l'Unità di crisi della Farnesina. E proprio la Farnesina sconsiglia ora di procedere o di organizzare viaggi in quella regione.

«BASTA REPRESSIONE» - Sulla vicenda è intervenuto anche il ministro degli Esteri, Massimo D'Alema: «Quello che accade in Tibet ci preoccupa molto - ha spiegato il vicepremier -: Chiediamo alla Cina di porre fine alla repressione e di avere rispetto dei diritti dei tibetani e delle loro tradizioni». Il ministro ha poi sottolineato come «noi siamo impegnati, da tempo, per la riapertura di un dialogo tra Tibet e Cina», aggiungendo poi che «includere la Cina nella comunità internazionale è importante anche per indurla al rispetto dei diritti umani».
LA VOCE DELL'EUROPA - Anche i leader europei hanno preso posizione, chiedendo alla Cina «moderazione» nell’affrontare la situazione in Tibet. Il ministro degli Esteri francese, Bernard Kouchner, a Bruxelles per il vertice Ue, ha detto che «i leader europei hanno approvato un testo di risoluzione proposto dalla presidenza slovena». Nel testo si invita Pechino «alla moderazione e si chiede che le persone arrestate perché manifestavano per il Tibet vengano rilasciate». «Abbiamo chiesto molto chiaramente che il rispetto dei diritti umani venga assicurato - ha spiegato Kouchner. La condanna è forte e proviene dal Consiglio europeo nel suo insieme e dai 27 Paesi membri». Il comunicato, ha però precisato Kouchner «non fa riferimento alcuno ai Giochi olimpici: la Francia non è favorevole ad un boicottaggio ma la Francia può attirare l’attenzione sulla concomitanza tra i Giochi Olimpici e questa aspirazione tibetana, di cui la Cina deve tenere conto».

STI FIGLI DI TROIA.................

CINESI BASTARDI

CINESI BASTARDI

CINESI BASTARDI

CINESI BASTARDI

CINESI BASTARDI

Silvio The Comedian




Non ce la fa a non fare il comico....è più forte di lui....

Sicuramente solo una battuta....MA DI PESSIMO GUSTO

IO LO LAPIDEREI IN PIAZZA MONTECITORIO





giovedì, marzo 13, 2008

FATE COSI' SE NON VOLETE VOTARE...

l'astensionismo attivo ovvero rifiuto della scheda.

come ben sapete l'astensionismo passivo non fa percentuale di media votanti
e riguardo alle elezioni legislative
il nostro sistema di attribuzione non prevede nessun quorum di partecipazione
(a differenza dei referendum dove è richiesto un quorum del 50%+1 degli elettori).
quindi se anche per assurdo
nella consultazione elettorale votassero tre persone,
ciò che uscirebbe dalle urne
sarebbe considerata valida espressione della volontà popolare
e si procederebbe quindi all'attribuzione dei seggi
in base allo scrutinio di tre schede.
Altresì le schede bianche è nulle,fanno si percentuale votanti,
ma vengono ripartite,
dopo la verifica in sede di collegio di garanzia
che ne attesti le caratteristiche di bianche o
nulle,in un unico cumulo da ripartire nel cosidetto premio di maggioranza....
(per assurdo sempre votando bianca o nulla
se alle prossime elezioni vincesse berlusconi le sudette schede andrebbero
attribuite nel premio di forza italia).
Esiste però un metodo astensivo,che garantisce di essere percentuale votante
(quindi non delegante)
ma consente di non far attribuire il proprio non-voto al partito di maggioranza.
è infatti facoltà dell'elettore di recarsi al seggio
e una volta fatto vidimare il certificato elettorale,
AVVALERSI DEL DIRITTO DI RIFIUTARE LA SCHEDA,
assicurandosi di far mettere a verbale tale opzione.
è possibile inoltre
ALLEGARE IN CALCE AL VERBALE,UNA BREVE DICHIARAZIONE IN CUI SE VUOLE,L'ELETTORE HA IL DIRITTO DI ESPRIMERE LE MOTIVAZIONI DEL SUO RIFIUTO
(es. nessuno degli schieramenti qui riportati mi rappresenta)
Tale sistema oltre a rallentare e rendere difficoltose le operazioni di voto e scrutinio
(è obbligatorio compilare infatti per ogni scheda rifiutata un apposito verbale) rende inattribuibile il voto,
in quanto la legge consente solo l'attribuzione delle schede contenute nell'urna
al momento dell'apertura della stessa,
creando una discrepanza tra percentuale votanti e voti attribuibili
e di conseguenza un problema di difficile,se non impossibile attiribuzione
(specie se il fenomeno raggiungesse quote notevoli) di seggi,
infatti in linea teorica(non è mai successo) se la quantità di schede rifiutate raggiungesse la quota di voti necessaria per l'attribuzione di un seggio,tale seggio non potrebbe essere attribuito.

martedì, marzo 11, 2008

lunedì, marzo 10, 2008

BHAGWAN, il dio che fallì

Bhagwan Shree Rajneesh "OSHO"



Lunedì 26 ottobre 1985, Bhagwan Shree Rajneesh, comunemente noto come il «guru del sesso»o il «guru in Rolls Royce» o in occidente come "OSHO" fu arrestato a Charlotte, nella Carolina del Nord, mentre cercava di lasciare l’America.
Meno di otto ore più tardi, Ma Anand Sheela, ex presidente della Rajneesh Organisation, venne arrestata nella Germania meridionale sotto l’imputazione di diverse accuse, compreso il tentato omicidio e la cospirazione a scopo di omicidio.
Bhagwan venne imprigionato e, il 15 novembre, a Portland nell’Oregon, fu condannato a dieci anni con la condizionale, a una multa di 400.000 dollari, e gli fu ordinato di lasciare immediatamente il paese, in quanto riconosciuto colpevole di aver infranto le leggi dell’immigrazione e di avere celebrato matrimoni non validi.
Quest’uomo di Dio, che giunse all’aeroporto John Fitzgerald Kennedy nel 1980 col messaggio «Io sono il messia che l’America stava aspettando», fu imputato di trentacinque diversi delitti federali, compreso quello di menzogna a pubblico ufficiale.
Sheela, la donna indiana sorta a una posizione di immenso potere all’interno dell’organizzazione, è attualmente in attesa di processo negli Stati Uniti sotto l’accusa di tentato omicidio.
Questi sviluppi sensazionali furono il culmine di un’indagine di quattro anni da parte delle autorità statunitensi a proposito delle attività di un movimento che aveva attratto diffusa attenzione e notorietà fin dalla metà degli Anni Settanta.
Le storie riferite dai giornali erano abbastanza straordinarie.
Dall’epoca in cui i primi occidentali avevano cominciato ad affollare l’originario quartier generale di Bhagwan in India, erano stati pubblicati rapporti di attività sessuali sfrenate, prostituzione, droga, frode di immigrazione, evasione tributaria, gruppi di meditazione in stato di nudità, e ammasso deliberato di una ricchezza incredibile.
Finora, vi sono state cinque biografie «ufficiali» di OSHO, e diversi giornalisti hanno scritto il proprio resoconto di quanto accadeva all’interno dell’ashram.
Ma non vi è ancora stata una valutazione oggettiva del movimento da parte di qualcuno che fu membro della cerchia più vicina a Bhagwan.
Nessuno sceneggiatore di Dynasty o Dallas avrebbe potuto immaginare qualcosa di paragonabile agli intrighi, ai comportamenti subdoli, alle lotte di potere e alle macchinazioni che sono accaduti.
Come membro della privilegiata «cerchia intima» di Bhagwan per più di otto anni, e come sua guardia del corpo personale, sono stato testimone di eventi e di attività ben lontani da quelli normalmente associati a un movimento religioso.
I discepoli di OSHO certamente non seguivano i tradizionali voti religiosi di povertà, castità e comportamento decoroso.
Tutto il contrario....
OSHO divenne noto come il «guru della vagina» e pubblicamente sostenne il più libero dei liberi amori come un passo importante sulla via verso l’illuminazione; la maggior parte dei suoi seguaci fu anche troppo disposta a dare espressione fisica ai suoi insegnamenti sotto questo aspetto e, al centro di Poona, godemmo dell’attività sessuale a sazietà.
Il movimento non era interessato neppure al valore spirituale della povertà: OSHO disse in varie occasioni di odiare e disprezzare la povertà e il suo stile di vita, soprattutto negli ultimi anni, confermò queste parole.
Per molti anni ha indossato orologi tempestati di brillanti e vesti sontuose e ha sempre avuto interesse per le automobili potenti, esclusive e di lusso.
A Poona possedeva una serie di Mercedes e di grandi auto americane, e negli anni in America ammassò più di novanta Rolls Royce.
Egli tentava di razionalizzare tutto ciò affermando che le auto lo aiutavano a «rimanere nel corpo», cioè a restare vivo.
OSHO senza dubbio è vittima di diverse malattie, compreso il diabete, l’asma e molteplici allergie, ma è anche dotato di una natura ipocondriaca e non ha esitato a usare i suoi disturbi a proprio vantaggio.
Io fui uno dei primi occidentali a recarmi in India per incontrare Bhagwan, dopo averne conosciuto gli insegnamenti nel suo primo centro londinese.
Oltre al mio lavoro come guardia del corpo, divenni anche il suo indossatore personale, osteopate, fotografo e autista, e fui incaricato di addestrare le sue guardie.
Sebbene fossi più alto di alcuni centimetri, avevamo esattamente la stessa taglia e tutti i suoi abiti venivano misurati e provati prima su di me.
Quando lo incontrai per la prima volta nel 1973 fui sopraffatto dal carisma, dal potere, dall’autorità e dalla presenza dell’uomo.
A me, come a tanti altri giovani occidentali dell’epoca, sembrava offrire tutto ciò che cercavamo.
Ebbi la potente sensazione di essere giunto a casa, che la mia ricerca era finita.
Mi lasciai crescere i capelli, indossai vesti arancioni e un mala (la collana di 108 grani che significa rinuncia religiosa) e fui preso dagli altri discepoli come esempio vivente dell’insegnamento di OSHO.
Dapprima, nulla sembrava importare fintanto che rimanevamo vicino all’uomo che veneravamo come nostro Maestro.
Per lui avremmo disobbedito a ogni legge e sfidato ogni autorità; pendevamo dalle sue labbra e ci precipitavamo a eseguire i suoi ordini più banali.
Tale era il senso di potere e di autorità che sapeva comunicare che prendavamo come vangelo le sue parole anche quando si contraddiceva completamente, e ciò accadeva spesso.
Nei primissimi tempi, la maggior parte degli occidentali che cercavano OSHO era composta da professionisti di successo, ma egli attrasse anche una certa quantità di falliti e di giovani delusi che tentavano di fuggire da quella che per loro era una società repressiva, autoritaria e materialistica.
L’aspetto ironico è costituito dal fatto che il movimento di OSHO alla fine divenne totalitario, repressivo e materialistico come tutto ciò da cui i suoi seguaci tentavano di fuggire. Sostenendo il libero amore e assecondando le tendenze naturali dei suoi seguaci a sfidare l’autorità, Bhagwan sembrava dare la propria autorizzazione a tutto ciò che più desideravamo ma non osavamo fare a causa di limiti esterni o interni al nostro comportamento.
Nel contempo offriva spiritualità, uno scopo, una meta, una crociata, così che avevamo almeno un significato nell’esistenza.
Seguendolo e aderendo ai suoi insegnamenti eravamo sicuri di poter diventare noi stessi degli Esseri Illuminati.
In seguito, quando il movimento si consolidò, attrasse molti nomi famosi.
Fra i visitatori di Poona vi furono l’attore Terence Stamp, la cantante Diana Ross e l’intervistatore televisivo Alan Whicker.
Tutti furono impressionati da ciò che videro e ebbero l’impressione che OSHO «avesse qualcosa».
Diverse erano le interpretazioni circa la natura di quel «qualcosa».
OSHO e il suo movimento di “Arancioni” hanno fatto notizia fin da quando egli lo fondò a Poona. in India, all’inizio degli anni ‘70.
È questa la sua storia vista dall’ ”interno”. scritta da uno dei più devoti seguaci. membro della sua cerchia più intima e capo della sua guardia privata del corpo. Essa non solo rivela molti fatti sconosciuti riguardo i discepoli di Rajneesh ma anche diversi dei più nascosti segreti dello stesso Bhagwan.
L’Autore, uno dei primi discepoli occidentali, narra nei particolari le sue esperienze. dal momento in cui lasciò una carriera di successo. agli estatici primi giorni a Poona. fino alle più recenti. fredde e materialistiche lotte di potere che dominarono la comune dell’Oregon dove il movimento si trasferì quando Rajneesh fuggì dall’India sotto le pressioni delle autorità del Paese.
Milne riferisce come la comunità dell’Oregon divenne vittima dell’enorme ricchezza da essa stessa accumulata e descrive gli imbrogli, le frodi e le violenze usate contro gli abitanti del luogo. A. poco a poco l’originaria comunità dell’amore e dell’amicizia degenerò in un ministato totalitario dove Bhagwan predicava protetto da guardie armate fino ai denti.
È questo un volume ”vivo”, vero, indispensabile a chiunque voglia comprendere appieno un fenomeno storico e religioso qual è stato il movimento degli “arancioni”. ma che si propone anche come momento di riflessione a quanti hanno creduto o continuano a credere ad un “dio” che "ha fallito".

Potete visitare il sito di Osho, oggi, con incluso un bel tour del Resort.

P.S. Io di libri di Osho ne ho letti e ne ho preso "il buono"

domenica, marzo 09, 2008

venerdì, marzo 07, 2008

Ci Mancherà.....!!!


Mastella: «Rinuncio a candidarmi»

OGNI COMMENTO ORMAI E' SUPERFLUO.....

ALMENO FATE IN MODO CHE VENGANO DIFFUSE QUESTE SCHIFEZZE ALL'ITALIANA....

Sempre un grande....

Il video è un omaggio al cinema di autori come Terence Malick e Werner Herzog, grandi creatori di immaginario e testimoni di un modo di vivere il cinema e l’arte come rito moderno, come un’iniziazione al rapporto con l’ambiente e le profondità dell’anima, un’avventura di fusione con gli elementi della natura.E’ stato girato in uno scenario mozzafiato del nostro pianeta: le cascate di Iguazu al confine tra Brasile, Paraguay e Argentina che in molti ricordano per aver fatto da set alle celebri scene di THE MISSION, il capolavoro di ROLAND JOFFE.Le riprese sono state fatte all’inizio di dicembre in tre giorni immersi nelle foreste della zona con 45 gradi all’ombra e il 99 per cento di umidità, in collaborazione con una troupe cinematografica di Rio de Janeiro. Il video è girato in pellicola 35 mm.



mercoledì, marzo 05, 2008



PREMESSA:

Io non credo in nessun Dio....
Ma se dovessi credere in qualcuno...crederei in Bud Spencer e Terence Hill

Parte 1


Parte 2


Parte 3

martedì, marzo 04, 2008

Alla Frutta......

Un operaio polacco è stato sorpreso a far sesso con un aspirapolvere - un modello chiamato Henry, che, curiosamente, ha una faccia sorridente disegnata sopra e il naso che diventa il tubo - e nonostante le sue giustificazioni è stato licenziato. È accaduto a Londra, in un cantiere presso un ospedale del centro. L’operaio, sorpreso da una guardia giurata nudo e in ginocchio nella caffetteria dell’ospedale ormai chiusa, si è difeso dicendo che si stava pulendo le mutande con l’aspirapolvere. La guardia ha invece detto che era impegnato in un atto autoerotico con l’ausilio di Henry. Secondo il Sun, l’operaio era rimasto solo nel cantiere perchè era suo compito chiudere a chiave tutti gli accessi al sito, dove la sua azienda edile sta ristrutturando gli uffici amministrativi del Great Ormond Street Children’s Hospital. Interpellato dai suoi superiori, ha detto che passare l’aspirapolvere sulle mutande è «una pratica comune in Polonia». Non gli hanno creduto. ed è stato licenziato. L’azienda, HG Construction ha però ammesso: «È un comportamento inaccettabile, anche se ha fatto ridere molte persone».
L’anonimo lavoratore non è però il primo sorpreso a far sesso con oggetti inanimati in Gran Bretagna: lo scorso anno Robert Stewart fu condannato a tre anni con la condizionale dopo essere stato sorpreso nudo mentre tentava di far sesso con una bicicletta in un ostello in Scozia. La corte ha sancito che era ubriaco. E nel 1993 Karl Watkins, elettricista, fu condannato per aver fatto sesso con... i marciapiedi della sua città, Redditch, nel Worcestershire.

lunedì, marzo 03, 2008